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1 Febbraio 2024

Rebel Minds: curiosità e creazione nell’era dell’AI

AI

Curiosità: un cocktail di comportamento e istinto, ora abituale, ora episodico, ma decisamente umano.

Per gli antichi greci era motore di conoscenza e saggezza; figure come Platone e Aristotele veneravano la curiosità – per loro la meraviglia – come inizio della filosofia. Così anche per i romani, con menti affilate come Seneca che discutevano dell’importanza della ricerca e dell’apprendimento. Nel medioevo, la curiosità giocava sul filo del rasoio con un significato ambivalente: eroico quando veicolo di istruzione teologica o filosofica; un peccato capitale quando metteva in discussione i dogmi religiosi. Poi, il Rinascimento, teatro di scienza, esplorazione e arte, la riabbracciò come propulsore della scoperta.

Fast forward al XVII secolo: Thomas Hobbes, con quell’aria da ribelle intellettuale, lancia la domanda che segnò il destino della nostra società, perché non possiamo sapere tutto? Da quel momento in poi, la curiosità si è evoluta. Non più frivolo capriccio, ma la scintilla del progresso dell’umanità.

La curiosità ha alimentato il nostro senso critico, spingendoci a guardare oltre le apparenze – troppo spesso ingannevoli – verso una comprensione più profonda. Hobbes stesso la lodava come la vera artefice del cambiamento, conquistatrice di conoscenza che ha portato l’essere umano verso nuove epoche di scienza e cultura.

Oggi, cerchiamo di infilare la curiosità nei circuiti delle nostre macchine intelligenti. Ma davvero possiamo programmare la sete di conoscenza?

Nel mondo digitale, la curiosità prende la forma di algoritmi affamati di dati e, in un’epoca in cui le tecnologie dell’Intelligenza Artificiale avanzano a un ritmo impensabile fino a vent’anni fa, non è nuovo – ma comunque stimolante – parlare di curiosità artificiale. Questa, non è che l’ambizione di dotare le macchine di una passione umana fondamentale.

Eppure, non c’è nulla di umano in essa. Per noi è una facoltà guidata dalle emozioni, che si modella sulle esperienze e dipende da una complessa rete di fattori cognitivi. Ancora oggi, rimane un mistero come la curiosità possa prendere il sopravvento in situazioni potenzialmente pericolose.

L’AI esibisce una forma di curiosità guidata dalla raccolta e analisi dei dati. Non si tratta quindi di emozioni, ma di un approccio metodico ai problemi. Utilizza l’apprendimento per rinforzo (RL) per spingersi oltre i confini della programmazione e sviluppare soluzioni alternative e innovative. Questo metodo “motiva” l’AI a eseguire comportamenti desiderati mentre “punisce” quelli indesiderati, aiutandola a cercare attivamente nuove informazioni o esperienze. Per funzionare, l’apprendimento ha bisogno di continui feedback e necessita che l’AI si allontani dalla sua memoria per osservare ciò che ancora non è stato immagazzinato dall’algoritmo.

Immaginate di dover cercare un prodotto all’interno di un supermercato e di avere a disposizione un percorso circolare predefinito, che conoscete. Se l’oggetto non si trova, significa che è all’esterno del percorso conosciuto; quindi, la capacità di uscire dal loop del percorso noto per trovarne uno nuovo – aumentando le probabilità di scovare il prodotto desiderato – è paragonabile al funzionamento dell’algoritmo RL. In questo modo l’AI evita di rimanere intrappolata in un circolo vizioso di feedback che non le restituiranno mai una nuova risposta allo stimolo.

Ecco l’AI curiosa: diversa dalla curiosità umana per la sua natura metodica e sistematica, ma ancora ansiosa di sfiorare la nostra essenza alla ricerca di nuove combinazioni di conoscenza. Per molti, questo è il passo audace che ci porterà verso l’AGI, l’Intelligenza Artificiale Generale che potrebbe un giorno apprendere, adattarsi e forse anche percepire come noi.

Alt.

Qui l’ennesima provocazione: possiamo parlare di percezione quando si tratta di AI?

Per noi mortali è un processo biologico complesso, un balletto di stimoli sensoriali che danza attraverso il nostro cervello e restituisce esperienze organizzate. È un meccanismo di interpretazione che dà senso al nostro ambiente, strutturando tempo, spazio ed emozioni. È un’elaborazione allo stesso tempo bottom-up e top-down: il modo in cui spieghiamo le nostre sensazioni è influenzato dalla conoscenza, dall’esperienza e dai pensieri. È un atto estremamente soggettivo, frutto dell’evoluzione e dell’elaborazione cerebrale.

Nell’AI è campo di studio in rapida evoluzione. L’obiettivo è simulare la capacità umana di interpretare e comprendere informazioni sensoriali dal mondo reale. Strumenti come telecamere, microfoni, segnali wireless, radar o sensori tattili sono già impiegati in vari campi, tra cui il riconoscimento vocale e facciale. Certo, la percezione nelle macchine è ancora in fase embrionale, con significativi progressi nel riconoscimento sensoriale, ma con una comprensione ancora rudimentale del contesto e del significato che queste informazioni portano con sé. La sfida per l’AI è duplice: non solo raccogliere dati, ma anche dar loro un valore.

La domanda – in attesa di risposta – è se l’AI, nel suo avanzare, potrà mai realmente comprendere ciò che percepisce, o se rimarrà confinata in una simulazione sofisticata, ma vuota.

Dove si collocano allora le creazioni dell’Intelligenza Artificiale se, di fatto, non può ancora contare su curiosità e percezione?

La creazione è l’apice della nostra eredità culturale e intellettuale. Generare nuove idee, opere d’arte, prodotti, invenzioni, pensieri, compone la memoria collettiva del futuro. È mezzo di espressione, attraverso il quale manifestiamo emozioni, culture, punti di vista. È motore dell’innovazione e del progresso. Con la creatività abbiamo sempre sviluppato nuove soluzioni, tecnologie e forme d’arte che hanno contribuito a migliorare la qualità delle nostre vite.

In definitiva, è la nostra capacità di dare forma al mondo.

Su questo, l’AI generativa è più avanti, anche se non scalfisce del tutto le perplessità. Ora può essere utilizzata per l’automazione creativa, la produzione di immagini o componimenti musicali. Può essere di supporto alla creatività umana, dando consigli e migliorando il flusso di lavoro. È già ampiamente utilizzata per generare contenuti di vario tipo, da articoli di notizie a traduzioni automatiche, immagini o video. Indubbiamente, può permetterci di sperimentare nuove forme di espressione.

Nonostante le sue capacità crescenti, però, l’AI ha ancora dei limiti che si snodano in comportamenti per noi naturali, come curiosità e percezione.

Le sue creazioni spesso mancano di una profonda comprensione emozionale e concettuale, risultando come varianti di ciò che abbiamo già visto. Non ha una vera consapevolezza – lo avevo già detto qui  – o intuizione creativa come gli esseri umani. E come potrebbe? L’intuizione sboccia dalla curiosità e la consapevolezza dalla percezione. Le sue produzioni rimangono, ad oggi, una curata selezione e amalgama di dati esistenti.

La generative AI ci sta mostrando un’anteprima del suo potenziale; fino a che punto riusciremo a spingerla è una storia ancora tutta da scoprire.

Se pensiamo alla creazione come a un mezzo di espressione, ciò che stiamo programmando oggi è molto più di un semplice algoritmo. Se le macchine avranno un’impronta creativa duratura come quella umana, è il seme di un’eredità.

Chi ci vedrà – tra centinaia o migliaia di anni – cosa penserà di noi? Cosa saprà della nostra cultura e dei nostri tempi?

Gli avremmo, finalmente, lasciato un mondo migliore a cui aggrapparsi?