
Titoletto
La brand identity trascende il visivo per incarnare un complesso insieme di valori, principi etici e aspettative!
Essa rappresenta non solo la facciata esteriore attraverso cui un’azienda si presenta al mondo, ma anche l’essenza dei messaggi che intende trasmettere. Insomma, fa da ponte tra l’entità aziendale e il vasto oceano dei consumatori. L’obiettivo supremo è forgiare una percezione distintiva e coerente del brand, capace di instaurare fiducia, riconoscimento e fedeltà ferrea nei confronti del marchio.
In questo mercato digitale sovraffollato, è cruciale per le aziende sviluppare una brand identity efficace e funzionale. L’emergere della pandemia e il ruolo sempre più centrale dei social media hanno solo amplificato l’importanza di un’identità di marca autentica, coerente, ma anche capace di adattarsi con flessibilità e innovazione. Il passaggio al digitale ha moltiplicato i punti di contatto con gli utenti, orientando le aziende verso la creazione di interazioni che siano più esperienziali e integrate nella vita quotidiana.
Come se non bastasse, l’Intelligenza Artificiale plana su di noi per creare scombuglio nella creazione e gestione della brand identity.
Da idee per contenuti, ottimizzazione, alla personalizzazione dei messaggi, l’AI potenzia il brand per costruire narrazioni coinvolgenti, stabilire un legame autentico con il pubblico e, soprattutto, assicurare una coerenza di comunicazione attraverso i vari canali. In fondo, l’essenza dell’identità di un brand è proprio una questione di coerenza.
Ma, in un mondo costantemente in balia di crisi impreviste, come può una marca preservare la propria identità e valori fondanti, fronteggiando al tempo stesso le tempeste che minacciano di eroderne l’integrità?
La brand identity, infatti, assume un ruolo ancora più cruciale nei momenti di crisi, fungendo da faro sia per l’organizzazione che per il suo pubblico. E, ai tempi del Pandoro-gate, capiamo quanto l’influenza di un’identità di marca consolidata possa essere decisiva (anche se non salvifica).
In primo luogo, è portatrice di coerenza e fiducia. Durante una crisi, la famigliarità e l’integrità del marchio servono come ancoraggio di rassicurazione per clienti e stakeholder, ricordando loro i valori e la reputazione che hanno sempre sostenuto.
Inoltre, l’identità di brand stabilisce il tono di voce e lo stile di comunicazione dell’azienda, elementi imprescindibili durante le difficoltà. Un’azienda che comunica in modo trasparente, onesto e in linea con la sua identità gestisce meglio le percezioni pubbliche e mitiga i potenziali danni alla propria immagine.
Allo stesso modo, può orientare le decisioni e facilitare la differenziazione. La chiarezza sulla propria identità aiuta a filtrare le azioni strategiche durante una crisi, assicurando che siano in linea con i valori fondanti del marchio e con gli obiettivi a lungo termine, evitando allo stesso tempo decisioni precipitose che potrebbero aggravare la situazione.
Quando la brand identity enfatizza l’empatia e la connessione umana, diventa uno strumento potentissimo nella gestione delle crisi. In questi momenti, i brand che dimostrano comprensione e cura verso i clienti e la comunità consolidano le relazioni a lungo termine.
Infine, una volta che la tempesta si placa, l’identità di marca emerge come una fenice, il pilastro fondamentale su cui ricostruire. In questo senso, un’identità coerente e autentica salva e rilancia l’azienda verso il futuro.
È chiaro che l’identità di un’azienda va oltre la mera funzionalità di strumento di marketing per diventare un tessuto connettivo vitale in tutte le sfere di attività di un brand. Oltre a definire l’estetica e la percezione esterna, delinea una chiara struttura comunicativa e guida le aziende attraverso le sfide e le opportunità, rivelandosi di fatto indispensabile in ogni momento del viaggio di un marchio.
E l’AI non si tira indietro neanche di fronte alle sfide più ardue.
I suoi vantaggi sono molteplici e immediatamente tangibili, specialmente quando la rapidità di reazione è cruciale.
Innanzitutto, eccelle nella creazione di contenuti rapidi ed efficienti, una capacità fondamentale in situazioni dove ogni momento conta. Ricordo quando KFC nel Regno Unito si è trovato a corto di pollo, provocando una reazione inaspettata tra i clienti che hanno addirittura iniziato a chiamare le stazioni di polizia locali. La situazione, potenzialmente disastrosa per l’immagine del brand, è stata gestita con maestria grazie a una comunicazione tempestiva e adeguata.
Oltre alla velocità, assicura anche coerenza e personalizzazione nelle comunicazioni. Questo strumento può infatti analizzare e mantenere i messaggi chiave dell’azienda adattandoli per massimizzare l’engagement e rafforzare i rapporti con gli utenti.
Anche l’aspetto economico ha il suo ruolo. I contenuti hanno un ottimo rapporto costo-efficacia, e sono particolarmente vantaggiosi per le piccole e medie imprese con budget limitati per le PR. Questa sua accessibilità democratizza la capacità delle aziende di rispondere efficacemente alle crisi, indipendentemente dalle loro dimensioni o risorse finanziarie.
L’AI permette infine una notevole flessibilità, consentendo alle aziende di modulare la quantità di contenuto prodotto in base alle circostanze in perenne evoluzione. Il risultato è un approccio fortemente dinamico.
Sebbene gli evidenti vantaggi dell’impiego dell’AI nella gestione delle crisi, è necessario riconoscere e affrontare anche le insidie.
Una delle principali preoccupazioni riguarda la qualità dei contenuti e i possibili bias presenti nei dati di addestramento. Questi possono portare a comunicazioni che non rispecchiano la diversità e complessità del pubblico di un’azienda, rischiando di alienare segmenti della clientela o di trasmettere messaggi non intenzionali.
Anche la mancanza del tocco umano nell’interpretazione e nella valutazione delle emozioni è un’altra sfida critica. L’AI può faticare a cogliere le sottigliezze emotive e culturali durante uno stato di crisi, dove empatia e comprensione umana rimangono ancora gli attrezzi del mestiere per mantenere o ristabilire fiducia.
E, come ben sappiamo, privacy e proprietà intellettuale sollevano altrettante questioni che richiedono una valutazione attenta per evitare potenziali conseguenze legali.
Le aziende devono vigilare affinché i contenuti generati dall’AI siano sempre in linea con la voce e i valori del marchio; discrepanze o incoerenze possono danneggiare irrimediabilmente la loro reputazione.
Qualcuno, però, ha deciso di non limitarsi alle soluzioni AI disponibili sul mercando, decidendo di fabbricarsi in casa la formula perfetta per la crisis management.
È il caso della Crisis Communication Solution di CapeStart, un approccio pioneristico che sfrutta l’AI per navigare le acque turbolente delle crisi PR.
Tradizionalmente, le organizzazioni iniziano a reagire a una crisi solo quando questa ha già guadagnato attenzione pubblica, trovandosi costrette a decidere in fretta la strategia più efficace per minimizzare i danni.
CapeStart, invece, offre una soluzione proattiva, capace di gestire l’intero ciclo di vita di una crisi, dall’individuazione alla risoluzione. Questa AI è progettata per eseguire funzioni cruciali quali il rilevamento precoce dei segnali di crisi, la diagnosi di problemi imminenti, raccomandazioni strategiche e il monitoraggio continuo delle reazioni delle parti interessate per adeguarsi dinamicamente agli sviluppi.
Al cuore della CCS vi è l’applicazione della teoria della comunicazione situazionali di crisi (SCCT) di Timothy Coombs.
Questa teoria suggerisce di modulare le risposte strategiche a una crisi in base al livello di responsabilità attribuita all’organizzazione e alla gravità della minaccia reputazionale. L’obiettivo è triplice: influenzare le attribuzioni di responsabilità, trasformare la percezione pubblica dell’azienda e mitigare l’impatto negativo della crisi.
CapeStart ha analizzato 40 articoli sui media riguardanti diverse crisi pubbliche, correlandoli ai diversi tipi di crisi identificati dalla SCCT:
- Cluster delle vittime: situazione con deboli responsabilità e lievi minacce per l’organizzazione;
- Cluster accidentale: casi con responsabilità minime e minacce moderate;
- Cluster intenzionale: scenari con forti responsabilità e gravi minacce all’immagine aziendale.
In seguito, ha incrociato questi dati con le diverse possibilità di risposta alla crisi, che sono: negare, diminuire, ricostruire e rafforzare. Questa classificazione permette di affrontare in modo specifico ogni situazione, offrendo un ventaglio di reazioni che vanno dall’attacco all’accusatore, alla minimizzazione della responsabilità, fino alle scuse pubbliche o il risarcimento danni.
Questi passaggi sono stati fondamentali per addestrare l’algoritmo che è in grado di identificare il tipo di crisi e confrontarlo con situazioni passate analoghe. Di conseguenza, CapeStart ha creato 3 database separati per fornire dati ai suoi algoritmi, ognuno con un focus specifico:
- Eventi globali: una raccolta di tutti gli eventi significativi, inclusi ma non limitati a situazioni di crisi;
- Crisi dei media: comprende tutti gli eventi legati a crisi di pubbliche relazioni;
- Ontologia della crisi: un database che raccoglie argomenti, categorie e terminologia specifica relativa alle crisi.
Questi dati forniscono il nutrimento per oltre 100 modelli di Machine Learning, alla base delle capacità predittive, di raccomandazione, di misurazione e di assistenza offerte.
Questo esempio chiarifica in modo eccellente come l’Intelligenza Artificiale possa migliorare la gestione delle crisi, dalla loro scoperta alla risposta.
Anche stavolta, l’AI si rivela rivoluzione nel panorama del branding: dallo sviluppo dell’identità di marca alla gestione delle emergenze, le imprese che sfruttano la potenza dell’AI sono in grado di far fronte alle diverse esigenze comunicative in tempo reale, evitando il rischio di essere fagocitate dal meraviglioso mondo dell’Internet.
Se solo l’Intelligenza Artificiale fosse stata nel backstage… lo scandalo Pandoro avrebbe avuto lo stesso epilogo?