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3 Luglio 2023

Ascolta, immagina, restituisci.

L’empatia, l’arte di fondersi con l’altro e sentire le sue emozioni come proprie, riuscire a vestirne le scarpe per percorrere i suoi chilometri, è ciò che ci rende umani. Noi, creature sociali, siamo naturalmente inclini a cercare connessioni con gli altri. La socialità è parte intrinseca del nostro essere sin dagli albori dell’umanità e, senza il confronto, la comprensione del mondo che ci circonda sarebbe un enigma irrisolvibile. È attraverso le relazioni che impariamo a interpretare la realtà che ci circonda.

La chiave per entrare in empatia risiede nei neuroni specchio. Nel nostro cervello esiste una classe di neuroni motori, noti come neuroni specchio, che si attivano quando compiamo un’azione o la osserviamo negli altri. Questo straordinario sistema, scoperto negli anni ’80 e ’90 da un gruppo di ricercatori presso l’Università di Parma, spiega le complesse funzioni cognitive come l’acquisizione del linguaggio, la teoria della mente e l’empatia stessa. Esso dimostra che percezione e azione sono inestricabilmente legate: possiamo compiere il nostro primo passo perché il cervello “virtualizza” la camminata che vediamo negli altri, permettendoci di apprendere. È lo stesso meccanismo a consentirci di provare le medesime emozioni, suscitando commozione di fronte a una storia che non abbiamo mai realmente vissuto.

Tutto ciò è intimamente collegato all’arte del racconto, lo storytelling. Da tempi immemori, l’essere umano vive storie per poterle narrare. I brand e le aziende hanno insidiato lo storytelling nelle loro strategie sin dal XX secolo, poiché permette di raggiungere il pubblico in modo più efficace, grazie a una comunicazione empatica che opera tramite schemi e modelli riconoscibili favorendo l’identificazione.

L’obiettivo è diventare indelebili nella memoria delle persone.

Tuttavia, questo non riguarda più soltanto le relazioni tra individui, ma anche e soprattutto il legame che le persone sviluppano con i brand. Le neuroscienze hanno già dimostrato come inconsciamente proviamo un autentico affetto per i marchi a cui siamo fedeli, perché le stesse aree del cervello si attivano quando pensiamo a una persona cara. Questo rapporto che si instaura con i brand può influenzare positivamente o negativamente i nostri comportamenti e le nostre scelte d’acquisto.

Emergeranno, dunque, quelle imprese capaci di stabilire e mantenere una connessione autentica con i propri consumatori.

È qui che entra in gioco il concetto di Human Marketing.

  1. Human to human: la comunicazione autentica.

Bryan Kramer, il visionario fondatore del movimento H2H (human to human), ha coniato questo termine per introdurre un nuovo modo di fare marketing. Afferma, infatti, che la comunicazione Business to Business (B2B) e Business to Consumers (B2C) non esiste più, e al loro posto bisogna dare spazio alla comunicazione human to human. In un articolo sul suo blog personale, Kramer espone la sua filosofia:

“So, this is how I see it: Business do not have emotion. People do. People want to be a part of something bigger than themselves. People want to feel something. People want to be included. People want to understand. But people are also humans, and whit that comes mistakes. Missteps. Failures.”

Le aziende non hanno emozioni, le persone sì.

Avvicinarsi al modello H2H significa abbandonare l’idea che le persone siano solo strumenti per generare profitto e comprendere che emozioni ed esperienze costruiscono valore.

Già nel lontano 1999, il Cluetrain Manifesto, una raccolta di tesi che poneva le imprese in un nuovo mercato interconnesso, sostenne che i mercati sono conversazioni e che i mercati sono fatti di esseri umani, non segmenti demografici.

Allora perché queste teorie rimangono così attuali ancora oggi?

Siamo immersi in un’epoca di profonda sfiducia, come ho approfondito in un altro articolo, in cui le questioni sociali stanno emergendo sempre più prepotentemente. Il pubblico vuole maggior responsabilità da parte delle aziende e dei CEO per promuovere culture inclusive e cambiamenti necessari.

La potenza della condivisione è ormai svelata. Bryan Kramer stesso ha parlato di ciò in un TED Talk perché la condivisione sta reinventando il nostro futuro. E le risposte conducono sempre a un approccio human to human: condividere storie, senza secondi fini, ci avvicina agli altri.

E Bryan ci invita a riflettere… what should I share that might change the world?

 

Ma qual è, dunque, il ruolo delle aziende in questa visione?

È indubbio che sia sempre più socio-culturale. L’identità di un’azienda si basa sulle idee e sui valori che promuove. Simon Sinek, antropologo e scrittore, ha un’idea del perché (o come) alcuni brand abbiano successo in questo. Nel suo TED Talk Start with why spiega che le aziende dovrebbero partire a raccontarsi dal perché fanno ciò che fanno, mentre il cosa fanno serve solo come prova di ciò in cui credono.

 

Esiste una relazione tra brand e pubblico, o meglio tra persone. Questa relazione può essere instaurata con successo solo se le aziende iniziano a raccontarsi dal perché. Questo fattore chiave della comunicazione human to human offre alle persone esattamente ciò che desiderano: motivazione, ispirazione, emozioni.

  1. Inclusione ed empatia: come i brand riflettono la società

Questa potente combinazione di empatia, comunicazione H2H e marketing inclusivo permette ad alcune aziende di farsi portavoce di questo urgente cambiamento.

Un esempio recente è Apple, un brand da sempre focalizzato sul perché, tanto che anche Simon Sinek ne parla. Il suo film uscito negli ultimi mesi del 2022, The Greatest è un chiaro esempio di marketing inclusivo e di narrazione empatica, incentrato sulle sfide quotidiane affrontate dalle persone disabili. Apple presenta nel suo spot persone disabili reali, trasmettendo autenticità e dichiarando loro “siete i più grandi”, mentre cantano I shook the world. Questo racconto dinamico ed emozionante mette in risalto un tema che sta molto a cuore alla Apple: l’accessibilità.

 

Un altro grande brand da sempre impegnato nella comunicazione empatica e inclusiva è Ikea. Nel 2020, in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, è stata lanciata la campagna Be someone’s home. Le parole chiave che appaiono sullo schermo già dai primi secondi sono sicurezza e accettazione. Perché casa è quel luogo in cui dovresti sentirti al sicuro, accettato, dove c’è spazio per le risate e per le lacrime, dove puoi essere te stesso. Ikea conclude questo commovente racconto rivolgendosi agli emarginati, for thoose who do not always feel welcome, chiedendo a tutti gli altri di farli sentire a casa. Ovunque essi siano.

 

L’ultimo brand che voglio citare è il campione per eccellenza dell’unione nello sport: Nike. Nel 2019 con lo spot Dream Crazy racconta i sogni che ciascuno di noi coltiva. Il riferimento è alle storie dei grandi campioni che sono partiti da zero e di grandi atleti con disabilità che non si sono mai arresi, raggiungendo grandi traguardi. Poi, coinvolge tutte le minoranze: donne, disabili, rifugiati, poveri. Incita a continuare a credere e a lottare contro i pregiudizi, perché lo sport non è elitario, lo sport è per tutti.

Se ti diranno che i tuoi sogni sono folli, chiedigli se sono folli abbastanza.